Forse non tutti sanno che le automobili elettriche non sono figlie delle nuove tecnologie: esse esistono da ben prima che Tesla Motors o General Motors lanciassero i loro prototipi, vent’anni fa. Infatti prima dell’invenzione della combustione interna, diversi pionieri (e anche qualche sognatore) si sono dedicati a sviluppare quest’impresa con molta passione, qualche difficoltà e diversi successi. La mancanza di prospettiva storica porta però a non capire come siano veramente andate le cose e ad appiattire la storia dell’auto alla sola combustione a petrolio. Nelle prossime pagine cercheremo di fare chiarezza su 12 passaggi fondamentali della storia delle auto elettriche. Iniziamo scoprendo l’origine di tutto: chi realizzò il primo prototipo di auto elettrica?
Il primo prototipo fu costruito nel 1830 dallo scozzese Robert Anderson. Le batterie però non erano ancora ricaricabili, quindi il veicolo somigliava più a un trucco da salotto che a un’automobile. Una cosa del tipo “Non ci sono cavalli né buoi, eppur si muove!”.
Sette anni dopo, un altro scozzese, Robert Davidson di Aberdeen, costruì addirittura un prototipo di locomotiva elettrica. Nel 1841 ne fece una versione più grande, che poteva viaggiare per quasi un chilometro a una velocità di 4 miglia all’ora trainando 6 tonnellate.
Il problema era di nuovo quello delle batterie, ma le prestazioni erano così notevoli che preoccuparono i lavoratori della ferrovia che distrussero il prototipo che Davidson aveva soprannominato “Galvani”.
Forse non tutti sanno che le batterie ricaricabili non sono un’invenzione del ’900 ma sono nate nel 1859 e già allora fecero ben sperare i sostenitori delle macchine elettriche. Nel 1890, un chimico scozzese di Des Moines, Iowa, tale William Morrison, chiese di registrare il brevetto di un carrello elettrico costruito forse già nel 1887 e apparso in una parata della città l’anno successivo.
Trazione anteriore, 4 cavalli, velocità massima di 20 miglia all’ora e 24 batterie che dovevano essere ricaricate ogni 50 miglia.
Electrobat: non vi sembra un grande nome? Esso designa il primo sforzo commercialmente valido dell’auto elettrica. Andiamo a Filadelfia. Nel 1984, Pedro Salom e Henry G. Morris brevettano un’auto elettrica e la registrano con il nome di Electrobat.
All’inizio molto pesante e lento, nel tempo l’Electrobat inizia a utilizzare pneumatici e materiali più leggeri fino a diventare, nel 1896, una carrozza sterzante con due motori da 1.1 kW in grado di viaggiare per 25 miglia a una velocità massima di 20 all’ora.
Il belga Camille Jenatzy, un costruttore di carrozze elettriche che vive nei pressi di Parigi, chiede a diversi piloti di guidare i suoi veicoli con l’intento di promuovere la sua impresa e, nel 1899, finalmente batte un record mondiale: durante una gara, la sua Jamais Contente ( letteralmente “Mai soddisfatta”) riesce a rompere la barriera dei 100 km orari. La macchina aveva questa terribile forma a cilindro ma anche una coppia di motori ad azionamento diretto da 25 kW, ciascuno in azione raggiungeva 200 volt e 124 ampere (circa 67 cavalli), era in lega di alluminio leggera e montava pneumatici Michelin.
Sapete che tra i pionieri dell’auto elettrica si può annoverare anche Thomas Edison? Questo nella foto è lui, insieme al suo amico Henry Ford: siamo nel 1902 e questa è la sua Studebaker. Prima di decidere che il motore a benzina era più conveniente, anche Edison e Ford provarono a costruire un prototipo elettrico: il problema principale erano le fonti di approvvigionamento del carburante. A quei tempi infatti l’elettricità non era ancora ampiamente disponibile al di fuori della città e questo limitava fortemente il mercato di auto essa legate.
Sapete che quando il presidente degli Stati Uniti William McKinley fu vittima di un attentato durante il tour newyorkese, nel 1901, venne trasportato in ospedale a bordo di un’ambulanza a trazione elettrica? Si trattava di un modello molto simile a quello che c’è in questa foto (e che recentemente avrete visto nella serie tv della HBO “The Knick”).
Grazie a quella corsa McKinley sopravvisse al colpo di pistola, ma morì alcuni giorni dopo per un’infezione della ferita. Sfortuna a parte, McKinley fu il primo presidente motorizzato della storia degli Stati Uniti.
Poteva andare a 25 miglia all’ora per 80 miglia: questa Detroit Electric del 1923 è figlia di un’azienda che è riuscita a scalzare case come la Baker e la Milburn, considerate molto più innovative. Nonostante in quel periodo le macchine a combustione interna iniziassero a prendere piede, quelle elettriche avevano ancora mercato soprattutto grazie alle donne, che spesso non gradivano usare la manovella per avviare il motore, così le zone commerciali delle città erano dotate di stazioni per ricaricare le batterie delle macchine.
Va però detto che la Ford Modello T era molto più conveniente della Detroit Electric: nel 1923, la T costava 300 dollari, mentre la maggior parte delle auto elettriche costava 10 volte tanto. Macchine per ricchi, ovviamente. Tranne che per la moglie di Ford, Clara, che trovava le macchine del marito sporche e rumorose e perferiva di gran lunga le alternative elettriche, come le Detroit Electrics.
Ironia della sorte, è stato un motore elettrico che è diventato il vero nemico di vetture alimentate a batteria e ha contribuito a superare le obiezioni di Clara: sto parlando dell’avvento del motorino di avviamento elettrico, inventato da Charles Kettering a Dayton Engineering, per la Cadillac del 1912.
La benzina batte senza possibilità di ritorno l’elettricità poco prima della seconda guerra mondiale. A quell’altezza, la maggior parte dei produttori di auto elettriche si erano convertiti alla combustione interna o avevano cessato l’attività.
In città però i veicoli elettrici mantenevano ancora dei punti di forza, soprattutto grazie alla bassa velocità: in Gran Bretagna per esempio, fino al 1980 e oltre, si continuarono ad utilizzare veicoli elettrici per le consegne a domicilio; mentre nel Giappone del dopoguerra fu proprio la scarsità di benzina a convincere il governo a incoraggiare la produzione di auto elettriche.
La General Motors iniziò a sperimentare le auto elettriche negli anni ’90 e quello che vedete in foto è uno dei primi risultati: si chiama Electrovair ed è del 1996 (anche se l’originale è di 30 anni prima). Esotiche batterie d’argento e zinco producono un’energia di 532 volt per alimentare un motore a induzione a corrente alternata con 115 cavalli vapore.
Il problema principale era il peso: si trattava in totale di 800 chili in più rispetto la Corvair standard. La velocità massima era di 80 miglia all’ora, ma il colpo di grazia dal punto di vista del marketing era il costo delle batterie: 160mila dollari per batterie con una vita di 100 cicli al massimo.
Poiché la storia viene scritta dai vincitori, spesso ci si dimentica che il fallimento è un’esperienza molto comune tra le start-up. Ciò è particolarmente vero nel settore auto, dove l’elenco dei veicoli elettrici non del tutto spettacolari ha di recente incluso Coda e Aptera. Ma c’è un caso recente che non possiamo non nominare, per chiudere questo pezzo. Il protagonista è un sognatore, Shai Agassi, che nel 2009 fonda Better Place con un investimento di oltre 850 milioni di dollari. L’azienda fallisce nel 2013 ma, prima, riesce a strappare una collaborazione importante con Israele, Danimarca e con Renault, per costruire una macchina all’altezza dei suoi sogni, le cui batterie potessero essere sostituite anziché ricaricate a bordo.
Agassi era molto bravo a vendere la sua idea, un po’ meno bravo nei rapporti con le case automobilistiche. Così le stazioni della Better Place per la sostituzione veloce delle batterie si ritrovarono un po’ vuote: le macchine vendute furono pochissime (meno di 1500 Renault).
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