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giovedì 7 aprile 2016

Cosa c'è sotto le TRIVELLE


L’ing. Angelo Parisi, membro del Comitato Scientifico del CETRI, ci spiega argutamente la vera ragione per cui i petro gasieri hanno voluto la norma che permette l’allungamento della concessione fino ad esaurimento del giacimento. Perchè hanno una “franchigia al di sotto della quale non pagano royalties, e quindi hanno tutto l’interesse ad estrarre a ritmi bassissimi per non sforare la franchigia, e quindi preferiscono sforare i 30 anni della concessione. Questa franchigia generosamente concessa dallo Stato gli permette peraltro di non pagare royalties che sono già vergognosamente basse. Leggere per credere. Il CETRI ringrazia Angelo per il suo infaticabile preciso e costante lavoro di esplorazione e scoperta della verità nel mondo dell’energia.

Ciò che si nasconde DAVVERO sotto le trivelle (e che quasi nessuno dice)

Il governo italiano, con una scelta discutibile, ha fissato al 17 aprile la data del referendum abrogativo sulle piattaforme petrolifere promosso da 9 regioni italiane.

KUWAIT-10010, 1991, final print_milan Ahmadi Oil Fields, Kuwait, 1991. National Geographic, August 1991, The Persian Gulf: After the Storm. Aliens on a fiery plain, Environmentalists Rick Thorpe and Michael Bailey of Earthtrust examine a field where the ground has been encrusted with oil. National Geographic, August 1991

L’oggetto del referendum è la norma introdotta con l’ultima finanziaria che consente alle società concessionarie del diritto di coltivazione dei giacimenti petroliferi a mare entro le 12 miglia marine di poter sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento, anche se entro le 12 miglia resta vietata la concessione di nuove concessioni di ricerca e coltivazione.

Per i fautori del no questa norma è logica in quanto per loro non ha senso “tappare” il foro mentre c’è ancora gas e petrolio da estrarre e inoltre dicono che una vittoria dei si sarebbe pericolosa in quanto bloccherebbe un settore in cui siamo all’avanguardia e si creerebbero migliaia di disoccupati. Insomma nulla di nuovo. Quando si tratta delle fonti fossili, ogni modifica che non piace ai signori del petrolio viene immediatamente bloccato un settore in cui siamo all’avanguardia, produce migliaia di disoccupati, genera piaghe bibliche e catastrofi galattiche…. Il solito ricatto  contro lavoro, ambiente e salute.

havenAltri argomenti citati dai fautori del no riguardano l’aumento delle importazioni dall’estero con il conseguente incremento del numero di petroliere che circolano sui nostri mari e approdano sui nostri porti. In pratica sostengono che gli effetti sull’ambiente provocati dallo stop alle piattaforme entro le 12 miglia marine sarebbero peggiori di quelli che produrrebbero delle piattaforme vecchie di 40 o 50 anni che pompano gas e petrolio dal fondo del mare.

Inoltre i fautori del no ricordano che la vittoria del si al referendum non comporterebbe un divieto alle trivelle e nemmeno alle piattaforme oltre le 12 miglia marine. Per questo accusano i comitati No Triv di truffare gli elettori.

Ma è veramente così?

Assolutamente NO!



Intanto i signori del no devono mettersi d’accordo con loro stessi. Infatti da una parte sostengono che questo referendum è inutile e non produrrà uno stop alle piattaforme e alle trivelle e che quindi presentarlo in questo modo è falso e truffaldino, mentre dall’altra parte dicono che una vittoria dei SI produrrebbe una catastrofe nazionale. Insomma devono spiegare come può essere che un referendum inutile e che non stoppa affatto piattaforme e trivelle, possa bloccare l’intero settore, far scappare tutte le società petrolifere dall’Italia, far perdere miliardi di investimenti, migliaia di posti di lavoro, aumentare le importazioni di petrolio e gas dall’estero e produrre un incremento dei costi della bolletta energetica?Kerkenna1

In pratica è come se dicessero che un moscerino che si posa su un grattacielo ne provoca il crollo.

Inoltre i signori del no sostengono che dalle piattaforme si estrae prevalentemente gas, ma poi dicono che la vittoria del si producendo uno stop immediato alle estrazioni, farebbe si che aumenti il traffico di petroliere. Tutto questo è puro allarmismo verbale. Innanzitutto vorrei ricordare che il gas non arriva con le petroliere, ma con i gasdotti, e (in rarissimi casi) con le navi gasiere  in forma di Gas Naturale Liquido (LNG). Quindi non si vede che ci azzeccano le petroliere. Diciamo che i fautori del no sono un tantino confusi. In secondo luogo in caso di vittoria dei SI gli impianti non verrebbero bloccati immediatamente ma a termine, con l’arrivo a scadenza delle concessioni.

Ma allora perché i signori del no raccontano queste falsità? E cosa si nasconde veramente sotto il loro desiderio di procrastinare le concessioni?

Intanto è bene chiarire subito che il referendum interesserà in modo diretto solo diciassette concessioni da cui si estrae il 2,1 % dei consumi nazionali di gas e  lo 0,8 % dei consumi nazionali di petrolio gas. Bruscolini che anche se dovessero venire a mancare da un giorno all’altro, come sostengono i signori del no, (ma, ripetiamo, NON è così)  non succederebbe nulla di grave e al calo di estrazioni si potrebbe benissimo fare fronte con un minimo di risparmio energetico (quindi incentivando un comportamento virtuoso. Certo se invece vogliamo continuare a sprecare energia prodotta con fonti fossili, allora non basteranno tutti i giacimenti del mondo a coprire il fabbisogno.

milazzoMa, come detto, la vittoria del si non comporterà uno stop immediato delle piattaforme che, purtroppo, continueranno a restare al loro posto fino alla scadenza della concessione e quindi non c’è alcun pericolo per il fabbisogno nazionale e nessuna perdita di posti di lavoro, che sono pochissimi, spesso di tecnici specializzati stranieri, e che scadrebbero al termine del contratto.

Quindi si ritorna alla domanda posta in precedenza: cosa temono i fautori del no?

Temono due cose.

Primo, che passi il messaggio che possiamo fare a meno del petrolio e che possiamo produrci l’energia di cui abbiamo bisogno in altro modo senza continuare a dare soldi ai petrolieri.

Secondo, che passi un altro principio, ben più importante per loro, quello per cui le concessioni scadono.

Infatti ci sono alcune cose che i signori del no ci tengono nascoste tentando di distogliere l’attenzione da esse per puntarla verso la catastrofe prodotta dalla vittoria del si e la perdita di migliaia di posti di lavoro.

Le paroline magiche che non pronunciano mai i signori del no sono due: royalty e franchigia.

Cosa sono le royalty?

Sono delle quote in denaro che le compagnie petrolifere versano ogni anno allo stato, alle regioni e ai comuni per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Infatti in Italia le risorse petrolifere sono un bene indisponibile dello Stato, questo vuol dire che il petrolio e il gas dei giacimenti è di proprietà pubblica: tutti noi siamo proprietari di una quota di petrolio e di gas stoccati nei giacimenti.

Lo stato però non si occupa direttamente di estrarre queste risorse e “concede” dei titoli di sfruttamento di tali risorse a dei soggetti privati, i quali sostengono i costi per la ricerca e per la costruzione delle infrastruture necessarie alla loro estrazione. In cambio pagano ai “proprietari” delle risorse, noi tutti, una quota percentuale del valore di quanto estratto.

Il problema riguarda la percentuale che viene pagata. Tale percentuale, come si può vedere dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico, è pari al 7% per l’estrazione di gas e di olio a terra e del 4% per l’estrazione di olio in mare, a cui sommare una quota del 3% da destinare al fondo per la riduzione del prezzo dei prodotti petroliferi se la risorsa è estratta sulla terraferma o per la sicurezza e l’ambiente se estratti in mare. 



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Olanda : Vietate Auto Benzina e Gasolio



Olanda verso divieto vendita auto benzina e gasolio dal 2025
Il Governo olandese ha iniziato il cammino legislativo per arrivare a vietare, dal 2025, la vendita di 
automobili con alimentazione a benzina o a gasolio. Il provvedimento è sostenuto dal partito Laburista PvdA, che ha ottenuto - nonostante la forte opposizione della Destra VVD - una prima approvazione in Parlamento. A sostenere l'iniziativa del PvdA, si sono affiancati anche i deputati dei Liberal Democratic D66, dei verdi GroenLinks e del partito ChristenUnie. Già nel 2013 il Governo olandese aveva siglato un 'accordo sull'energia' con una quarantina di organizzazioni indipendenti, al fine di promuovere iniziative 'verdi' nell'ambito dell'energia, dell'isolamento termico degli edifici e della riduzione della CO2. 
Nello scorso dicembre l'Olanda, assieme ad altre quattro nazioni e otto Stati del Nordamerica avevano formato la Zero-Emission Vehicle Alliance per arrivare entro al 2050 
alla esclusiva vendita di automobili eco-compatibili.


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ENERGIA DALLE ONDE DEL MARE

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mercoledì 6 aprile 2016

Italia Petrolio , Europa Eolico


Altro che petrolio, l'Europa guarda all'eolico offshore

Mentre l'Italia è alle prese con Tempa rossa, all'estero si lavora sulle rinnovabili. Con uno stoccaggio di energia al largo della Scozia. A basso impatto ambientale.
Gli strascichi dell’inchiesta Tempa rossa arrivano fino al referendum sulle trivelle e al tema dell’energia eolica.
Perché in Italia le indagini della procura di Potenza, con le accuse al capo di Stato maggiore della Marina militare, Giuseppe De Giorgi e le dimissioni della ministra Federica Guidi, hanno causato un fracking politico con ripercussioni presumibilmente anche 
sulla consultazione referendaria del 17 aprile 2016.
Un giorno in cui a Doha, in Qatar, è previsto un importantissimo summit tra i produttori Opec e non Opec per trovare un accordo sul tetto alla produzione di petrolio, che ora sembra lontano e fa affondare le Borse mondiali.

STATOIL CAMBIA GIOCO. 
Volgendo lo sguardo verso la Scozia, si scrutano, invece, altre priorità.
La multinazionale norvegese del petrolio e del gas Statoil continua, infatti, a cambiare le “regole del gioco energetico” e ha presentato le sue proposte per le energie rinnovabili, continuando a investire su un settore che a Oslo ritengono strategico.

SUPER BATTERIA AD ARIA.
 Se a Tempa rossa, area gestita da Total, si punta sul più importante giacimento petrolifero sulla terraferma d’Europa, nel Nord della Gran Bretagna 
piace il vento di mare.
Si tratta del progetto di super batteria Batwind da realizzare sulle coste scozzesi e dedicato all’immagazzinamento di energia prodotta dalla piattaforma eolica offshore Hywind in via di realizzazione a circa 15 miglia a Nord-Est della Scozia, nel Mare del Nord.

COME 2 MILIONI DI IPHONE.
 Verrà costruito, in pratica, un sistema di accumulo su larga scala per immagazzinare l’energia che arriva dagli impianti eolici posizionati in mare.
La mega batteria potrà accumulare energia per 1 Mwh, l’equivalente 
di oltre due milioni di batterie per iPhone.

I sistemi di stoccaggio sono una nuova frontiera di investimenti da parte delle multinazionali.
I produttori di energie rinnovabili possono infatti attingere all’energia immagazzinata per rispondere istantaneamente a picchi di domanda o compensare periodi di bassa
 produzione derivante dal vento o dal sole.




COSTI PIÙ BASSI. 
Lo storage ha il potenziale di mitigare l’intermittenza e ottimizzare l’uscita di energia.
Può pertanto migliorare l’efficienza e ridurre i costi dell’eolico offshore.
Capacità che per Statoil rappresentano anche una opportunità economica.
Stephen Bull, vice presidente della multinazionale per il settore energia offshore, spiega: «Con Batwind siamo in grado di ottimizzare il sistema energetico dal parco eolico alla rete. Lo stoccaggio rappresenta una nuova applicazione nel nostro portafoglio, contribuendo a realizzare l'ambizione di crescita redditizia in questo settore».

RISPARMI IN BOLLETTA.
 Del resto, un recente rapporto redatto dal Carbon Trust, una organizzazione non profit che aiuta le aziende a ridurre le loro emissioni di carbonio, ha concluso che se il mercato optasse per i vantaggi dello storage di energia elettrica, questo potrebbe portare a un risparmio di circa 64 euro l’anno in media sulla bolletta energetica.
Per Tempa rossa, per esempio, le stime de Il Sole 24 Ore, che cita Agriregioneuropa 2012, parlano di 500 milioni di euro come valore aggiunto generato per la Basilicata, regione con 570 mila abitanti che può contare sulle royalty delle compagnie petrolifere.

Tornando a Batwind, questa sarà sviluppata in collaborazione con le università scozzesi, a seguito di un nuovo protocollo d’intesa firmato a Edimburgo tra Statoil, il governo scozzese, l’Offshore Renewable Energy (Ore) Catapult e Scottish Enterprise.
Il progetto entra in funzione nel 2018, ovvero un anno dopo che la piattaforma di pale galleggianti di Hywind inizierà la produzione di energia elettrica (2017) con cinque turbine collocate a 25 chilometri (15 miglia) al largo della costa scozzese.
A quel punto partirà lo stoccaggio attraverso un collegamento da terra.

MANCANZA DI OSTACOLI.
 L’eolico offshore, ovvero il parco eolico galleggiante, è sostanzialmente il posizionamento di impianti in mare aperto o in grandi laghi.
Il vantaggio di questa soluzione deriva dalla mancanza di ostacoli e la possibilità 
quindi di produrre maggiore energia.
A fronte di ciò, ci sono gli alti costi di realizzazione, manutenzione e trasporto del materiale.
La produttività è però nettamente superiore rispetto alle altre modalità di wind farm e per questo le multinazionali stanno puntando sul settore, in particolare in 
Gran Bretagna, Danimarca, Paesi Bassi e Cina.

SCARSO IMPATTO AMBIENTALE.
 Dal punto di vista ambientale sono preferite anche per lo scarso impatto con i paesaggi e le specie di uccelli e rapaci migratori.
In Italia, l’eolico offshore ha avuto finora scarso successo soprattutto a causa della mancanza di una normativa certa. In Europa, invece, si deve a questo settore l’unico dato positivo di crescita degli investimenti nelle energie rinnovabili.

VERSO NUOVI MERCATI.
 Che Statoil avesse in mente un “cambio di gioco” lo si era capito proprio dal progetto Hywind, che al momento del lancio, nel novembre 2015, veniva rappresentato come «il più grande parco eolico galleggiante al mondo» e che avrebbe portato «interessanti nuovi mercati per 
la produzione di energia da fonti rinnovabili».
La decisione di Statoil ha innescato investimenti per circa 2 miliardi di corone norvegesi, l’equivalente di circa 211 milioni di euro.
La società ha intenzione di installare una turbina eolica da 30 Mw su strutture galleggianti a Buchan, a 25 chilometri al largo di Peterhead nell’Aberdeenshire, sfruttando risorse eoliche scozzesi per fornire energia rinnovabile verso il continente.
Il parco eolico, secondo le stime fornite, può dare energia a circa 20 mila famiglie.

 Irene Rummelhoff, vice presidente esecutivo della Statoil per le New energy solutions, dice che «il nostro obiettivo con Hywind è quello di dimostrare l’utilità commerciale di parchi eolici galleggianti. Ciò consentirà di aumentare ulteriormente il potenziale di mercato globale di energia eolica offshore, contribuendo a realizzare la nostra ambizione di crescita redditizia nelle energie rinnovabili».

PALE GALLEGGIANTI. 
La particolarità di Hywind è la turbina, dotata di una struttura di galleggiamento in acciaio con zavorra appena sotto il livello del mare e a sua volta ancorata al fondo marino con dei cavi.
Non vengono quindi utilizzati dei pilastri come supporto, ottenendo comunque stabilità.
Le pale offshore esistenti sono di solito posizionate e fissate sul mare, con le fondamenta in acqua che risultano molto costose superati i 50 metri di profondità.
Questa soluzione di galleggiamento, individuata da Statoil e Siemens, è invece funzionale per installare il parco a profondità differenti rispetto a quelle finora sfruttate, anche fino a 700 metri.

COME 5 TORRI DI PISA. 
Le pale galleggianti di Hywind sono alte 258 metri, considerando anche la parte sott’acqua (tra gli 80 e i 100 metri), ovvero due volte e mezzo il Big Ben di Londra e quasi cinque volte la torre di Pisa.
Il parco si estenderà per una superficie di mare di circa 4 chilometri quadrati, dove le acque raggiungono una profondità di 95-120 metri.

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Svezia : produce energia dalle onde


La Svezia è la prima nazione a produrre energia dalle onde

Il sistema produzione di energia dalle onde Seabased AB, presso la costa ovest della Svezia, sarà il più grande al mondo e il primo ad entrare in funzione



 – Il più grande impianto per la produzione di energia dalle onde sta per produrre il primo megawatt. Lo annuncia Seabased AB, la società svedese che ha costruito il sistema Sotenas Wave Energy al largo della costa occidentale del Paese. Nei primissimi giorni del 2016, infatti, un quadro di distribuzione sottomarino da 120 tonnellate è stato collegato alla rete elettrica nazionale tramite un cavo subacqueo lungo 10 km. L’estrazione di energia dalle onde avviene sfruttando la differenza di energia potenziale gravitazionale tra cavo e cresta. Nel caso dell’impianto svedese, verrà utilizzato un convertitore di energia del tipo Point Absorver: esso funziona sfruttando il sollevamento e l’abbassamento di un oggetto in galleggiamento (simile a una boa) durante il passaggio dell’onda per azionare una pompa idraulica.

Secondo un comunicato stampa di Seabased AB, alcuni convertitori di energia delle onde sono stati collegati al quadro. Nel 2011, Fortum e Seabased AB hanno firmato un accordo per la costruzione di un parco MHK (Marine and Hydrokinetic) presso Sotenas, in Svezia. Appena questo inizierà a produrre energia, dichiarano da Seabased, il parco sarà il più grande al mondo 
in un settore ancora poco esplorato.
«Questo è un passo molto importante per noi. Non appena le boe saranno collegate a generatori potremo iniziare a produrre energia elettrica per i nostri clienti», ha dichiarato Heli Antila, chief technology officer di Fortum.
«Stiamo collegando alla rete per la prima volta al mondo un quadro sottomarino – ha rivendicato invece Mats Leijon, chief executive officer di Seabased 
Siamo molto felici di aver raggiunto questo traguardo».

L’azienda svedese è stata fondata nel 2001, come holding di innovazione e brevetti strettamente connessa con le ricerche condotte presso il Swedish Centre for Renewable Electric Energy Conversion dell’Angstrom Laboratory situato nel campus dell’Università di Uppsala. Si tratta di un centro di formazione riconosciuto a livello mondiale nel campo dell’energia dalle onde. Le ricerche vengono dirette da ricerca proprio da Mats Leijon, che insieme a Hans Bernhoff, è fondatore della società e azionista di maggioranza.
Il potenziale da moto ondoso è stimato in 29.500 TWh/anno. Ocean Energy Europe (2013) ha stimato un potenziale di creazione di 20.000 posti di lavoro dallo sviluppo del settore delle energie marine entro il 2030.

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sabato 2 aprile 2016

Fonti fossili roba vecchia, serve una svolta



Fonti fossili roba vecchia, serve una svolta

Chiariamoci le idee: trivellazioni in mare, inceneritori e utilizzo di combustibili fossili non mi sembrano in linea con le idee sull'Ambiente ecco perché sono per votare SI!

A tre settimane dal referendum del 17 aprile, gli italiani sembrano ancora poco interessati e ancor meno informati sull’oggetto del voto. I sondaggi però dicono una cosa interessante. Quelli che sanno sanno dell’esistenza del referendum e ne conoscono il contenuto sono ancora pochi. Ma, una volta informati, non hanno dubbi: voterebbero sì. Per questo l’informazione sui contenuti, il dibattito, il confronto delle idee restano fondamentali. Nonostante la scarsa attenzione dei media, almeno quelli più diffusi, quelli che arrivano nelle case della maggior parte dei cittadini. C’è l’ostacolo dell’apparente difficoltà del quesito e della materia certamente di non immediata comprensione. Il voto del 17 aprile riguarda la durata delle concessioni per le trivellazioni in mare entro le 12 miglia (circa 20 kilometri, le cosiddette acque contigue). 

Chi vuole che una volta scaduta la concessione l’attività estrattiva venga abbandonata? 
Allora bisogna votare Sì.

 Al contrario, chi vuole che la concessione prosegua senza un termine, fino a
 che il giacimento non si esaurisce, deve votare No.

Questo è, in estrema sintesi, l’oggetto del referendum. Ma, tra i sostenitori del Sì, c’è chi vede nel voto del 17 aprile qualcosa di molto più ampio e importante. Tra questi c’è il geologo Mario Tozzi, già ricercatore del Cnr, poi divulgatore scientifico e conduttore Tv.

Tozzi, questo è un referendum tecnico?

Sì, lo è, come del resto lo sono tutti, ma il valore simbolico è forte. Significa che se vincessero i Sì 
finalmente il nostro paese si allineerebbe con quella che è l’unica posizione possibile oggi: l’abbandono dei combustibili fossili.

Quel è il punto cruciale?

Non è tanto che le trivellazioni facciano danni, provochino terremoti, questo no. Sono sciocchezze 
senza senso. Oppure che sfregino il paesaggio. Questo è vero in alcuni casi ma non in tutti. Il problema vero è che se tu continui a cercare nuovi idrocarburi, e poi li dovrai raffinare e bruciare, non ti allineerai mai agli obiettivi che invece, anche come governo nazionale, sostieni di voler perseguire.

Quindi è un referendum molto politico?

Senz’altro sì, è questo l’aspetto prevalente. E anche se il referendum non raggiungesse il quorum, una volta che è stato scoraggiato in tutti i modi non accorpandolo con le amministrative, e poi dicendo che è inutile e invitando ad andare in campagna, il valore politico rimane.

Lei è geologo, ha mai partecipato ad attività estrattive?

Sì, certo, come geologo ho partecipato diverse volte a prospezioni petrolifere, non sono particolarmente dannose in sé, il loro impatto ambientale è contenuto nella maggior parte dei casi e gli incidenti sono molto rari. Ma, ripeto, il problema non è questo. E’ un problema di prospettiva. E poi queste attività vengono favorite da un fattore preciso.

Quale?

In Italia le royalties che le compagnie petrolifere pagano per avere un permesso di prospezione – con il quale sono obbligate a fare almeno un pozzo – sono particolarmente basse. Mentre in molti paesi del mondo arrivano anche al 75%, da noi sono scarse, tra il 10 e il 20%. E’ molto favorita la possibilità di fare prospezione perché sai che nel caso di ritrovamento
 non pagherai poi tanto di royalties all’Italia.

Perché questa scelta?

Si faceva così un tempo perché l’Italia la si riteneva povera di petrolio, dunque per invogliare le 
compagnie si dava questa sorta di incentivo. Oggi non è più così perché abbiamo scoperto che in Italia c’è il giacimento petrolifero on-shore, sulla terraferma, più grande d’Europa, 
che è quello della Lucania. 

E nell’Adriatico e nello Ionio, cambiata la tecnologia, ed essendo possibile arrivare più in profondità, i giacimenti ci sono. E allora almeno le royalties andrebbero aumentate.

Le sostiene che l’industria degli idrocarburi è una “roba vecchia”. Perché?

Ma sì, affidarsi agli idrocarburi è una scelta vecchia, non al passo con le possibilità delle nuove 
tecnologie sostenibili. Ed è una scelta voluta da un ministero dello sviluppo economico guidato da un 
ministro assolutamente inadeguato alle sfide moderne. Il ministro Federica Guidi è un ministro di un 
vecchio modo di fare industria e politica che non c’è più in nessuna parte del mondo. 
Vecchio, vecchio, vecchio.

Perché dice che il governo è inadeguato su questo tema?

Bé, lo si è visto. Cercano di cancellare gli incentivi alle energie rinnovabili, come se col sole si potesse solo accendere una lampadina! Incentivano la creazione di nuovi inceneritori. E fanno la scelta che sappiamo sulle trivellazioni. 
Si perseguono obiettivi vecchi: è la vecchia Confindustria, di cent’anni fa! 
La classe imprenditoriale italiana è vecchia, poco coraggiosa e incapace di innovazione e di ricerca.

Cosa dovrebbero chiedere i cittadini in materia energetica?

L’abbandono progressivo delle fonti fossili. Se noi abbiamo aderito all’accordo sul clima di Parigi, vuol dire che entro il 2050 dovremo tagliare le nostre emissioni inquinanti. 
E quando lo facciamo? Nel 2049? 

Devi cominciare adesso, non c’è tempo da perdere, a investire sulle energie rinnovabili e su quelle 
incentrare tutta la trategia energetica del Paese.

Viene paventata la perdita di posti di lavoro nell’industria estrattiva…

Ma per cortesia! Io sono senza parole… La riconversione delle attività estrattive in attività sostenibili da un punto di vista ambientale comporta sempre un aumento dei posti di lavoro. La rima conferenza 
stampa del presidente Obama, appena eletto nel primo mandato, fu da una fabbrica di pale eoliche che si era appena riconvertita dopo aver prodotto per decenni trivelle petrolifere. Ma poi questa storia del ricatto dei posti di lavoro! Produciamo pure dei veleni, allora! Io rimango stupefatto di fronte a certe affermazioni, Si parla di riconversione ecologica in tutto il mondo e da noi no perché sennò si perdono i posti di lavoro? Contnuiamo così, bene l’Ilva, bene Marghera, continuiamo così…

Ma gli italiani andranno a votare?

Non lo so, mi pare che il significato profondo, politico, importantissimo di questo referendum sfugga. La politica e spesso anche i media sembra che lo ritengano un fastidio da togliersi di torno il prima 
possibile. Questo referendum non va trasformato in una battaglia partitica, pro o contro Renzi. Ha un 
senso questo referendum da punto di vista della futura politica ambientale? Secondo me ce l’ha. Che 
modello di sviluppo energetico vogliamo per il nostro Paese? 
Questa è la questione vera che c’è in 
gioco.

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